Giù di lì

Come un treno, che con il suo “Ciuf Ciuf” ha sostituito il piccione viaggiatore. Viaggia veloce lui, e porta sempre nuovi messaggi.
Ma adesso il suo “Ciuf Ciuf”, non ha più quel suono magico.
Come in una enorme tavolozza a colori, nella quale se un quadratino salta via, tutto cambia. Specie se chi a saltare è il tuo colore preferito.
Improvvisamente la tavolozza a colori apparirà come un monocromo.
Come fosse, una distesa, triste, scala di grigi.

I barconi

Tag

,

Navigano tra mari tempestosi,profumati alle volte dai frutti della passione. Ma sempre più spesso,  trascinati e sbattuti da quelle acque terrificanti, nutrite però e colorate, di un verde speranza. Altri non sembrano remare sulla loro direzione. Svaniscono nel nulla, cancellati dalla nebbia. Il vento a sfavore. Alcuni troveranno una casa, altri una croce.
Chi le aggancerà al collo la collana di perle? Chi le abbotonerà la zip di quell’abito da sera, lunga e retta per tutta la sua spina dorsale?

Scritto con WordPress per Android.

Giorni a perdersi

Giorni a perdersi

a volersi male

affogo nello zucchero a velo

inghiotto motivi amari

sui pantaloni stretti

chiazze sulla pelle

raffiche di starnuti al mondo.

Inneggio al levante mi perdo nel nero

al nuovo giorno mi ci impegno davvero.

Una folata spegne il cero

é buio dentro me

vuota la memoria

ci metto una pietra sopra

mi ci metto sotto

il rumore della pioggia

su una strofa mai capita

bagna i fogli della vita.

Inneggio al levante rimango nel nero

spaghetti di mare

giuro che al nuovo mi ci impegno davvero.

A incastrare i pezzi

per esaminarmi domani

nel vuoto che una nebbia mi pervade

gesti goffi sulle strade

campo magnetico nullo

calamita mai

per amarmi mai

profumo di te misto a lacrime.

Tu che al levante inneggi

me che schianti nel nero

giura che al nuovo giorno ti ci impegni davvero.

I cerchi neri

i pesi sulle guancie

notti insonni a raccogliere le ore perse

ne lascio scappare ancora un po’

com’é che scappi da me

mai facile piacersi entrambi.

Inneggio al levante

risalgo dal nero

al nuovo giorno mi ci impegno davvero.

Non chiedetevi del vostro futuro

Che dire di lui? Se non che non lo vedo. E’ uno smarrimento. C’è sempre da aver fretta nella stasi di un momento, che poi tremo per l’ignoto. Mi decido? Voglio gridare basta ad uno specchio, per tutti questi miei giorni inermi.

E a voi altri chinati con le mani in una pozza e dentro una busta paga bucata. Basta.
E a voi che perseverate nei viali dei vostri sogni, non fermatevi. Ricordatevi di ricaricare le armi. Le ho messe tutte via quelle mie maledettissime situazioni sgradevoli, ma sono pur sempre roba mia. Me le riprendo quelle vecchie scatole, la nostalgia è la migliore compagna. Sono sentimenti. Veloci i non classificati, ti superano dentro e fuori ti lasciano indietro. Sono come quei cuori impazziti che si battono pronti a giocare con quei pezzetti di vetro.

I miei momenti, i vostri momenti. Io consiglio un inno per ogni momento. Cantate.

Vite vissute, così sminuite, così inquinate. Io che in una nuvola ci sto tutta dentro, ho visto tra un forellino offuscato, deturpate le migliori bellezze, che nel quotidiano dimorano, costantemente ignorate. Come i bambini, sulla spiaggia l’argento. I pugni chiusi come pomodori che balzano, intrecciando relazioni tra le rincorse e il gioco ai pupazzi. Approfittatene, non torneranno facilmente quelle ore. Ho visto la neve sciogliersi sui mandaranci. Per molti contadini costava di più perfino raccoglierli. Per i più sensibili sarà un fiocco inciso sul polso. Per i meno fiduciosi l’apocalisse il giorno prima dei mandorli. L’odore di marcio. Mentre sulle nostre tavole bandite, si insinuano mele forestiere. Mentre per le loro sporche ragioni, niente resta più offensivo degli immigrati clandestini. Una terra in ginocchio. La rabbia in un volto e le lacrime trattenute.

I nuovi barconi. I nuovi voli dopo i giorni della merla. Fiori rosa. I nuovi fiocchi tra i frutteti. I mandorli, anche quest’anno saranno in fiore. Che vi pare?
Nella mia terra dei pupi, il sole ritorna presto a baciare le coste. Ci illude bene la grande palla dorata, noi di speranza non vogliamo mancare. Dentro le nostre case canzoni mai nate, strofe strappate, le melodie spezzate. La mamma legge gli harmony, dice che così ha imparato la geografia, poi guarda Ncis, di gomorra non ne vuole sapere. Ci chiedono di abbassare il volume e noi indossiamo le cuffie. Le melodie sempre spezzate. Io vi perdo tutti. Sempre per quella nuvola. In quelle parole che si fondono e si confondono ai miei sillogismi mai semplici, sempre contorti. Le voci le ho già confuse ed i suoni sono distorti. Qualcuno non ha accordato il piano. Altri hanno perso il buon uso delle dita e si scrocchiano una mano. Il basso non lo sento nemmeno, arranca, scava più in basso, vorrei vederlo risalire per accordarsi ai miei motivi. Usciremo da queste case, ci ritroveremo, restituiremo l’armonia tanto desiderata a tutte le nostre melodie. Tutti riuniti in una sala non troppo grande, né troppo piccola, comoda per noi gente di nicchia.

Che dire di lui? Non lo vedo ancora e ormai non me lo chiedo nemmeno. Non chiedetevelo. So che si svelerà da solo questo futuro, che davvero mi fa tremare. So che fa tremare anche voi. So che alla fine, a ciascuno il proprio orizzonte. Questa grande e fottutissima paura dell’ignoto, che si è portata via con se pure la mia ironia. Mi sembra di affogare in un mare. La cerco tutte le mattine nel caffè. La cerco in questo tempo, che lui renderà più bello. Ne sono sicura. So che lui lo porterà il bel tempo. A Voi, cosa hanno rubato a voi? Ci riprenderemo tutto. Peggio di così c’è solo un’estate senza lui. Lui che tanto, mai c’è stato per me. In questo campo fuori dai giochi, ho ancora un ultimo giro di ricognizione. Lo so. Un lungo mese, ce n’è voluto uno tutto intero. Raggiungiamoci. Qui a rimarcare sugli stessi passi, stanchi, senza rotta. I fossi sul battuto. A rimuginare siamo stanchi. Ci rimetteremo tutti le nostre vecchie scarpe, le più comode. Ricarico i gettoni e parto per altri giri di giostra, la cambio io la mia posizione. Ci ritroveremo. Tra le carte sudate. Maledette le notti disgraziate. La cambio io la mia posizione. Un vestito rosso e coriandoli con le foglie d’alloro. I conti con la calcolatrice. Conti fatti sempre più spesso, per dimostrare a quella stronza, che non serve farseli a mente per fare carriera. Che i conti tornano lo stesso. Per dimostrare, che a furia di svoltare a sinistra, tutte le maledettissime volte che mi dicono destra, alla fine la trovo anche io la mia strada.

Siete pronti? Ognuno ha il proprio viaggio da fare. Sventoleremo i nostri fazzoletti. Ci riconosceremo. Soli non resteremo. Raccoglieremo i frutti del nostro lavoro per metterli insieme. Costruire ponti, idee, progetti. Per fare cose grandi, bisogna partire da se. Partiamo. Ci vedremo tutti presto. Dimostriamo a quei signori, di cosa siamo capaci. Mettiamoli fuori dai giochi.

Le figure della vita.

Tag

Le buone novelle, gli appigli sicuri
i reperti in uno scrigno, le illusioni in un obiettivo concreto
sono tutte figure della vita.

Si muovono in completa autonomia.
Ci abbandonano, rimangono, arrivano
ci ignorano, ci amano e fingono
poi ritornano, ci feriscono e scappano.
Una fugace gioia che vola, mentre immobili si insediano le polveri.
Una gemma in una scarpa, il lerciume sulla via.
Sono le ombre di noi.
Le mura innalzate in ogni dove. I fantasmi e le ossessioni.
I sorrisi intrappolati in una polaroid
l’incognita in una scatola di cioccolatini.
Ci vediamo passanti in una pellicola
nelle proiezioni, nelle incisioni di noi
come i graffiti nel nostro paese cuore.
Per ogni cosa che resta, c’è sempre qualcosa che manca.
Siamo feriti e siamo felici.

Qualsiasi cosa accada

E’ già tanto che ce le abbiamo delle certezze. E’ già tanto che le facciamo alcune promesse. Che se poi tutto crolla come muri di carta, che se poi tutto si scioglie come neve sui mandaranci, che se poi tutto si infrange e facciamo schifo come i partiti italiani alla tv, tutte le sere, è sempre meglio di niente. Sentiremo quel grande rumore delle nostre opere in sfacelo, costruite male, senza un marchio e senza amore. Sentiremo quel grande rumore di vuoto, e le vertigini e le lacrime, perchè qualcuno dall’altra parte ci aveva davvero creduto. E sarà sempre meglio di niente, perchè tutto questo gran casino, sulle case, sulle vie, sui cuori, ci darà la sensazione di esserci, di sentirci vivi, anche se da morti. E con una mano puntata sul pavimento che ci dirà di alzarci di nuovo. Qualsiasi cosa accada.

Scritto con WordPress per Android.

Studio su ” Alla luna” di Giacomo Leopardi

Tag

, ,

Alla luna

O graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l’anno, sovra questo colle
io venia pien d’angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
il tuo volto apparia, che travagliosa
era mia vita: ed è, nè cangia stile
o mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza, e il noverar l’etate
del mio dolore. Oh come grato occorre
nel tempo giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso
il rimembrar delle passate cose,
ancor che triste, e che l’affanno duri!

Continua a leggere

Studio su La sera del dì di festa

Tag

, ,

La sera del dì di festa

Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t’accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai nè pensi
Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m’affaccio,
E l’antica natura onnipossente,
Che mi fece all’affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or da’ trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già, ch’io speri,
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
In così verde etate! Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell’artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov’è il suono
Di que’ popoli antichi? or dov’è il grido
De’ nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio
Che n’andò per la terra e l’oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s’aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s’udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.

Continua a leggere

Queste, le figure della vita.

Tag

Le buone novelle, gli appigli sicuri
i reperti in uno scrigno, le illusioni in un obiettivo concreto
sono tutte figure della vita.
Si muovono in completa autonomia.
Ci abbandonano, rimangono, arrivano
ci ignorano, ci amano e fingono
poi ritornano, ci feriscono e scappano.
Una fugace gioia che vola, mentre immobili si insediano le polveri.
Una gemma in una scarpa, il lerciume sulla via.
Sono le ombre di noi.
Le mura innalzate in ogni dove. I fantasmi e le ossessioni.
I sorrisi intrappolati in una polaroid
l’incognita in una scatola di cioccolatini.
Ci vediamo passanti in una pellicola
nelle proiezioni, nelle incisioni di noi
come i graffiti nel nostro paese cuore.
Per ogni cosa che resta, c’è sempre qualcosa che manca.
Siamo feriti e siamo felici.